Violenza domestica e di genere: se non c’è consenso è sempre stupro

La violenza sulle donne è un fenomeno socioculturale che negli ultimi decenni è sempre stato sottovalutato. Per rendersi conto di questa affermazione, è sufficiente verificare che il primo strumento giuridico a livello internazionale per tutelare le donne contro qualsiasi violenza la “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, meglio conosciuta come Convenzione di Istanbul, è stata aperta alla firma nel 2011, ma è entrata in vigore solamente nel 2014.

Teniamo anche presente che la Convenzione di Istanbul entrerà in vigore il 1° ottobre 2023 per l’Unione Europea perché essendo un accordo internazionale stipulato all’esterno dell’Unione Europea necessitava di una procedura di ratifica da parte della stessa Unione Europea anche se gli Stati membri l’avevano già ratificato nei loro Stati.

Nel nostro Paese, la battaglia culturale e giuridica per un pieno riconoscimento della violenza esercitata dagli uomini contro le donne soprattutto in ambito domestico e affettivo, come forma di lesione della dignità e della libera espressione della donna e come espressione di una strutturale disparità dei rapporti di forza storicamente diseguali tra donne e uomini, ha indotto il legislatore ad approvare principalmente strumenti di repressione rispetto agli strumenti di prevenzione per il contrasto alla violenza sulle donne.

Infatti, una delle citriche principali è che la legislazione in vigore è spesso mal applicata, i servizi di prevenzione per le vittime rimangono scarsi e gli atteggiamenti sessisti prevalgono. Un atteggiamento sessista in particolare è proprio quello della colpevolizzazione della vittima sull’abbigliamento indossato, sul periodo intercorso tra il fatto e la denuncia, sul suo stile di vita e le sue frequentazioni. Viene, infatti, definito come vittimizzazione secondaria quel fenomeno per cui la donna vittima di violenza sessuale viene giudicata come se alla fine fosse solo colpa sua quello che ha subito, mentre la condotta dell’aggressore viene messa in secondo piano.

La donna vittima di violenza sessuale a causa del pregiudizio culturale esistente nel nostro Paese, ma anche in altri Paesi, viene costretta a subire due volte la violenza. Prima dal suo aggressore e poi dallo Stato che non riesce a scardinare ancora i preconcetti sottesi al fenomeno della violenza domestica e di genere.

Teniamo anche presente che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo[1] nel 2021 ha condannato l’Italia per la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8) e per gli stereotipi sessisti sui quali si è basata la motivazione della pronuncia di assoluzione della Corte d’Appello di Firenze. Nella sentenza, la Corte EDU evidenzia in particolare, la grave vittimizzazione secondaria agita dalle autorità nazionali ai danni della giovane donna che aveva denunciato una violenza sessuale di gruppo.

In base ai dati del Ministero dell’Interno[2], nel 2022 sono stati commessi 314 omicidi volontari rispetto ai 304 del 2021 (incremento del 3%) di cui 124 con vittime donne (+4% rispetto al 2021), 102 uccise in àmbito familiare/affettivo. Di queste, 60 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner.

Dai dati pubblicati dal Ministero dell’interno si evidenzia che, per gli atti persecutori e i maltrattamenti contro familiari e conviventi, dopo un trend in progressivo e costante incremento, nel 2022 si riscontra un significativo decremento.

Le violenze sessuali, invece, a fronte di un decremento nel 2020 rispetto all’anno precedente, mostrano un andamento in costante incremento nel biennio successivo.

Ma soprattutto, dai dati pubblicati emerge che le donne non denunciano le violenze subite. Il problema maggiore è proprio quello della prevenzione e della mancanza di fiducia da parte delle donne del sistema giudiziario e politico italiano che continua a colpevolizzarle.

E questo si può riscontrare facilmente soprattutto nelle ultime sentenze pubblicate in casi di violenza sessuale, come ad esempio, il caso noto dell’operatore scolastico assolto con la sentenza del Tribunale di Roma del 6 luglio 2023. I giornali hanno intitolato “Bidello assolto perché la palpata breve non è reato”.

L’operatore scolastico è stato assolto perché “la violenza sessuale non poteva integrarsi sotto il profilo soggettivo perché il contesto in cui si è svolta l’azione, la brevità del contatto, la condotta tenuta dall’imputato successivamente al fatto, non consentono di ritenere provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la consapevolezza di compiere un atto sessuale e la volontarietà della violazione della libertà sessuale”.

Un giurista comprende bene queste affermazioni perché il reato si deve concretizzare sia sotto il profilo soggettivo e oggettivo, ma agli occhi di una persona comune, soprattutto se vittima di violenza sessuale, è l’ennesima conferma che è inutile denunciare la violenza subita.

La palpata breve può essere reato, ma bisogna provare l’elemento soggettivo e oggettivo per poter condannare l’autore della violenza sessuale. Inoltre, la nostra legislazione si basa su un concetto di violenza sessuale caratterizzato dall’uso di minaccia e violenza, mentre in altri Paesi è essenziale e sufficiente provare la mancanza del consenso.

Infatti, il Parlamento europeo sta cercando di introdurre una normativa sulla violenza di genere che si basa sulla definizione di stupro come “sesso senza consenso”, come già avviene in altri Paesi dell’Unione Europea.

Infatti, come si è accennato nel nostro Paese, le donne vittime di violenza sessuale devono provare che vi è stata minaccia e violenza, non è sufficiente provare l’assenza del consenso. La proposta[3] del Parlamento europeo prevede, quindi, che la mancanza di consenso assuma un elemento centrale e costitutivo della definizione di stupro, dato che spesso non c’è violenza fisica o uso della forza quando l’atto viene commesso, in conformità a quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul dove si prevede che il consenso “deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto”.

Il Parlamento e il governo attuale continuano a modificare il codice rosso, a inasprire le pene. Da ultimo, è stata approvata auna modifica al codice rosso che però poco incide sulla tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.

Per Codice rosso si intende la riforma emanata con legge 69 del 2019 intitolata «Modifiche al Codice penale, al Codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere».

La normativa interviene principalmente in tre direzioni: introduce nuovi reati, inasprisce le sanzioni per quelli esistenti e disegna una procedura su misura per tutelare meglio le vittime di violenza domestica o di genere.

Di recente, è stata approvata un’ulteriore ipotesi di avocazione delle indagini preliminari da parte del procuratore generale presso la Corte d’appello, che ricorre quando il pubblico ministero, nei casi di delitti di violenza domestica o di genere, non senta la persona offesa entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato.

Difatti, è una norma inutile perché il problema non è tanto ascoltare subito la vittima di violenza, ma garantirle una tutela dentro e fuori dal processo perché, come si accennava, è sostanzialmente inutile inasprire le pene, prevedere un ascolto immediato, se poi la vittima subisce un processo mediatico e una vittimizzazione secondaria.

Le vittime non denunciano perché hanno paura di non essere credute e perché sanno che subiranno un processo in cui dovranno provare che vi è stata violenza o minaccia, quando invece dovrebbe essere sufficiente provare il mancato consenso.

Quello che da sempre si sta chiedendo è una modifica sostanziale del delitto di violenza sessuale come infatti sta spingendo la proposta del Parlamento Europeo perché se non c’è consenso è sempre stupro. Oltre a questo, serve una maggiore formazione sia nella magistratura e nelle forze dell’ordine che nelle scuole.

[1] Corte europea dei diritti dell’uomo Sez. I, 27/05/2021, n. 5671/16J.L. c. Italia “I giudici di merito nazionali,  avendo utilizzato in sentenza un linguaggio e degli argomenti tali da veicolare i pregiudizi sul ruolo della donna che ancora esistono nella società italiana e che sono suscettivi di ostacolare una protezione effettiva dei diritti delle vittime di violenze di genere, pur in presenza di un quadro legislativo soddisfacente in materia, rispondono per avere violato l’art. 8 della CEDU”.

 

[2] https://www.interno.gov.it/it/notizie/violenza-genere-focus-direzione-polizia-criminale

[3] https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-9-2023-0234_IT.html#_section1

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *