Perché il decreto Caivano non serve?

Il Consiglio dei ministri alla luce dei recenti fatti di violenza sessuale accaduti a Caivano (NA) ha approvato un nuovo decreto contro il disagio e la criminalità minorile.

Le misure principali sono le seguenti:

Si abbassa da 9 a 6 anni la soglia della pena che consente la custodia cautelare in carcere, mentre l’età per l’imputabilità resta fissata a 14 anni;

Daspo urbano e ammonimento del questore anche per i minorenni che abbiano compiuto 14 anni;

Se il minore è ammonito si prevede una multa da 200 a 1000 euro ai genitori salvo che non provino di non aver potuto impedire il fatto;

Si prevede come pena fino a due anni di carcere per i genitori se il figlio non frequenta la scuola obbligo.

Per la Presidente del consiglio Giorgia Meloni non si tratta di norme repressive. Ma è veramente così? Da quando si è insediato il Governo Meloni non abbiamo visto altro che il ricorso al diritto penale come strumento di prevenzione e repressione appena accadeva un fatto di cronaca rilevante per l’opinione pubblica.

Ricordiamoci, ad esempio, il decreto rave che ha introdotto l’art. 633-bis c.p. (Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l’incolumità pubblica) oppure il decreto Cutro che ha previsto pene più elevate per il reato di immigrazione clandestina con la reclusione da 2 a 6 anni (invece che da 1 a 5 anni) per l’ipotesi base e da 6 a 16 (invece che da 5 a 15 anni) per le ipotesi aggravate.

Con il decreto Cutro viene anche inserito nel Testo unico sull’immigrazione il nuovo delitto di “Morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina” con la particolarità che, se il nuovo delitto verrà punito secondo la legge italiana anche quando la morte o le lesioni si verificano all’estero se viene provato che la condotta è diretta a favorire l’ingresso in Italia.

Come diceva Cesare Beccaria “prevenire è meglio che punire”. Ma come si previene la commissione di un reato?

La prevenzione deve realizzarsi in mutamenti normativi e organizzativi, cioè in una efficace rete di controlli preventivi. Si deve neutralizzare la commissione dei fatti delittuosi all’origine relegando così il diritto penale al suo ruolo naturale di extrema ratio.

In cosa consiste questa rete di controlli preventivi e perché è così difficile realizzarla?

Per rete di controlli preventivi si intende una serie di politiche coese e unitarie volte a intervenire su più settori per prevenire la commissione di crimini. Soprattutto la criminalità giovanile che deriva da situazioni di disagio economico e sociale può essere arginata attraverso politiche di prevenzione volte a ridurre l’abbandono scolastico, ad aumentare il tempo pieno delle scuole, a coinvolgere il minore in attività di gruppo con altri minori.

Soprattutto l’attività di gruppo, come svolgere i compiti assieme ad altri minori può favorire l’inclusione. Insegnare ai minori come organizzarsi in autonomia vedendo anche come altri ragazzi svolgono i compiti può favorire una maggiore partecipazione. Politiche volte a investire di più sulla formazione per favorire l’educazione socioaffettiva e l’educazione civica.

Anche l’Unione Europea nel parere del Comitato economico e sociale europeo[1] sulla prevenzione e il trattamento della delinquenza giovanile e il ruolo della giustizia minorile nell’Unione europea ha sostenuto che sia meglio la prevenzione piuttosto che la repressione: “il miglior modo di lottare contro la delinquenza giovanile è impedire che vi siano delinquenti giovanili e a tal fine sono necessari programmi adeguati di assistenza sociale, lavorativa, economica ed educativa”.

Infatti, proprio in questo parere si è sostenuta la necessità di limitare l’intervento punitivo dello Stato attraverso l’uso del carcere, attivando invece “strategie preventive nel settore dell’assistenza sociale ai minori, della politica sociale, del mercato del lavoro, delle offerte di svaghi per il tempo libero e della politica degli enti locali in generale, lasciando inoltre più spazi d’autonomia alla comunità e ad altri gruppi della vita sociale, per esempio la famiglia, gli assistenti sociali, la scuola, la comunità, le organizzazioni sociali, nella soluzione del conflitto e nella ricerca di alternative valide”.

Ma sono misure difficili da attuare. Perché?

Se l’Unione Europea e altri Stati membri[2] stanno affrontando la criminalità giovanile con un approccio volto a ridurre l’uso del carcere favorendo invece l’istruzione e politiche di aiuto economico e sociale per i giovani perché il Governo Meloni va nella direzione opposta?

Perché il diritto penale da sempre genera la falsa convinzione di aver risolto il problema. Irrazionalmente siamo tutti portati a pensare che, se le persone stanno in carcere il problema è risolto e viviamo tutti al sicuro. Invece, ci siamo solo illusi di essere al sicuro perché, se non si risolve il problema all’origine questo si ripresenterà sempre. È l’istruzione la vera soluzione, ma non porta consenso immediato.

«L’accademia non è il paradiso. Ma l’apprendimento è un luogo in cui il paradiso può essere creato. L’aula, con tutti i suoi limiti, rimane un luogo di possibilità. In quel campo di possibilità abbiamo l’opportunità di lavorare per la libertà, di esigere da noi stessi, e dai nostri compagni, un’apertura della mente e del cuore che ci permette di affrontare la realtà anche se immaginiamo collettivamente modi per andare oltre i confini, per trasgredire. Questa è l’educazione come pratica della libertà» (Hooks, 1994, p. 207).

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NOTE, RIFERIMENTI E FONTI:

[1] Parere del Comitato economico e sociale europeo. La prevenzione e il trattamento della delinquenza giovanile e il ruolo della giustizia minorile nell’Unione europea (2006/C 110/13) https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2006:110:0075:0082:IT:PDF

[2] “In Germania la responsabilità penale è attribuita come in Italia ai minori di età compresa fra i 14 e i 18 anni, la pratica è orientata ad un modello di intervento solo minimamente invasivo e dagli anni ‘80 è iniziato un cammino verso forme di sanzione alternative al carcere, usato quest’ultimo in via assolutamente residuale e con valenze rieducative. Anche la Spagna ha lo stesso periodo di imputabilità minorile che intercorre fra i 14 e i 18 anni. Al contrario in Francia l’età imputabile è compresa fra i 13 e i 18 anni; in Svizzera parte dai dieci anni, ma la misura del carcere può essere utilizzata solo dopo il compimento del quindicesimo anno”. MAGGIA C. Bambini a processo? Siamo sicuri che serva? https://www.questionegiustizia.it/articolo/bambini-a-processo-siamo-sicuri-che-serva-_19-02-2019.php

 

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