“Mi onoravo di non aver mai ospitato nel tg che dirigo nessun esponente dei no vax. Allo stesso modo mi onoro oggi di non invitare chi sostiene o giustifica l’invasione russa in Ucraina”. In un post molto discusso e condiviso del 4 maggio scorso, Enrico Mentana ha rivendicato il taglio che rende il suo telegiornale, allungato dalle ormai quotidiane maratone, una mosca bianca nell’attuale panorama dell’approfondimento televisivo.
È quasi impossibile infatti non sentire, nei talk italiani di questa primavera ‘22, esperti o presunti tali, con l’ago della bilancia nettamente spostato sui secondi, elencare tutti i motivi che avrebbero portato il presidente russo a invadere i vicini, lamentandosi, ossimoricamente, del pensiero unico che li censurerebbe. In una tv nazionale, praticamente ogni giorno.
“Dicono che non bisognerebbe invitare Carlo Rovelli (che di mestiere fa il fisico, ndr), perché non è un esperto di geopolitica”. Corrado Formigli, che nella stessa intervista a Repubblica ha ricordato a Mentana di avere trasmesso quella di Cristiane Amanpour a Peskov, portavoce di Putin, ha invece difeso il “pluralismo”. “Pluralismo significa anche competenza degli interlocutori. Hai messo su un teatrino a uso e consumo dell’audience e ci hai fatto infiltrare dalla propaganda russa”. Marta Ottaviani su Twitter non ha scelto grandi giri di parole per commentare la tesi del conduttore. Tra l’altro, proprio la giornalista di Avvenire, che da anni si occupa di Cremlino e dintorni, nel suo libro Bambole russe spiega dettagliatamente una tecnica, chiamata Dottrina Gerasimov, cui molti spettatori dovrebbero fare i conti.
La dottrina Gerasimov, involontariamente creata nel 2004 dal generale russo (leggere il libro per approfondire), prevede una strategia comunicativa, esplosa soprattutto con i social, per cui, mediante la creazione a valanga di contenuti, da un lato si delegittima l’avversario, ingigantendo alcuni aspetti o inventandone altri di sana pianta, dall’altro si fortifica l’immagine solida del regime. Filo conduttore? Il vittimismo come giustificazione di ogni azione partita da Mosca (Qualcuno ha detto denazificazione?).
In Italia questo tipo di propaganda sembra avere molto successo tra i cosiddetti neneisti (né con Putin né con la NATO) e i veri e propri putiniani di casa nostra, e se il ministro Lavrov ha scelto proprio un talk del nostro Paese per esporre le posizioni del suo governo, ci sarà un motivo. Il vittimismo è una costante presente anche tra chi, con la dovuta premessa “Io condanno Putin ma”, tremendamente assonante con coloro che augurano l’affondamento dei barconi dopo avere affermato “Io non sono razzista ma”, finisce per ripetere a pappagallo le veline di Mosca. Davvero basta solo una premessa per stravolgere una narrazione che dovrebbe essere lapalissiana?
Al convegno recentemente presentato da Michele Santoro si è spesso parlato di “pensiero unico”. In una kermesse in cui, incredibilmente, nessuno ha mai pronunciato la parola “Putin”. Santoro, che del talk è uno dei padri, sa benissimo che il contraddittorio ne è l’anima e questa espressione, pensiero unico, ritorna in auge dopo l’arrivo della pandemia e delle sue conseguenze politico-sociali, sulle quali l’ex conduttore di Sciuscià e AnnoZero comunicò apertamente le proprie perplessità. Lo sa anche Mentana, che però, a differenza di altri, conduce pur sempre un Tg, senza contare che le sue Maratone, più che arene di scontro dialettico, hanno l’aspetto del salotto frequentato da giornalisti amici tra loro. Dove, in ogni caso, il ruolo del matador è sempre suo.
La domanda è dunque semplice: quando il mondo viene sconvolto da eventi epocali come il Covid e l’invasione russa, quanto bene fa all’informazione mettere sullo stesso piano il parere di un medico e di chi sostiene che i vaccini uccidono? Quanto, in nome del pluralismo, è onesto equiparare le analisi di un esperto come Dario Fabbri, ormai prigioniero in via Novaro, e quelle di chi nega ancora l’evidenza della strage di Bucha?
La comunicazione crea paradossi. Si parla di geopolitica e il nuovo vate del questononcielodiconesimo è un professore universitario ma di sociologia, con zero pubblicazioni scientifiche sulle tematiche trattate in tv (https://www.open.online/2022/05/05/alessandro-orsini-guerra-ucraina-russia-cv/), lanciato proprio da Formigli e ora conteso da Giletti, Bianca Berlinguer (“Dottoressa, Dottoressa, Dottoressa, Dottoressa, Dottoressa”) e tutti gli altri pronti a fargli dire che le sue opinioni, singolari e incomprensibili per noi cresciuti col pensiero unico, vengono silenziate. Si parla di vaccini e tutti abbiamo imparato a conoscere, insieme ai virologi-star, pasionarie come Sara Cunial o Francesca Donato, rispettivamente imprenditrice agricola e avvocatessa, convintissime dell’inefficacia del “siero”, ultimamente anche con l’ausilio di aglio e paletto.
Per questo presunto principio di uguaglianza e pari dignità della diversità di opinione, se una trasmissione invita un giornalista/opinionista ucraino, ritiene opportuno fare lo stesso con un omologo russo. Tralasciando però un particolare determinante: mentre l’Ucraina, al netto di corruzione, frammentarietà e le problematiche comuni delle giovani nazioni staccatesi dal blocco sovietico, rimane una democrazia, la Russia non lo è affatto. E non serve alcuna scienza infusa per capire come il mestiere di giornalista russo sia tra i più usuranti al mondo, tra lo stress di evitare di farsi avvelenare, o chiudere il giornale, o fuggire all’estero, o andare in carcere o, nel peggiore dei casi, morire. Se invece si difende in toto la linea del Cremlino, allora benvenuti nella nostra tv!
Nelle stesse ore in cui Mentana scriveva quel post, nel talk italiano per antonomasia, il Maurizio Costanzo Show, Giampiero Mughini e Vittorio Sgarbi venivano alle mani tra il ghigno di Bonolis e l’imbarazzo di Iva Zanicchi, mentre Cruciani vestiva gli insoliti panni da paciere e il baffuto conduttore non sembrava capirci granché. La reazione social è stata, stranamente, unanime: un sorriso comprensivo, compassionevole, nei confronti di un vintage trash talmente grottesco da suscitare tenerezza. Come quando i nonnetti si insultano superando i confini della blasfemia per una carta sbagliata con la briscola a bastoni.
Ecco, i tempi della staffetta Santoro-Costanzo, con un Totò Cuffaro scatenato contro Giovanni Falcone, oggi sembrano il mesozoico. Nell’amara consapevolezza generale che questo tipo di programmi, ormai anch’essi vecchietti sul viale del tramonto, hanno bisogno della rissa per continuare a esistere. Verbale e non solo. Reggendosi unicamente su di essa, a discapito del prestigio e dell’autorevolezza dell’informazione. Pazienza se passa il messaggio che Mosca è una povera vittima dei minacciosissimi eserciti ucraino e moldavo o che il covid è stato creato dai poteri forti: the (talk)show must go on.