Leopardi e la crisi ambientale: sapevamo già tutto

Non sono mai stato dalla parte dei complottisti, però, che il nostro rapporto con la natura fosse una relazione abbastanza tossica da meritare una serie Netflix, ce lo aveva detto Giacomo Leopardi ormai due secoli fa. La concezione della Natura Matrigna, e tante altre osservazioni, hanno anticipato gran parte dei problemi che abbiamo causato all’ambiente.

Spesso sembra che sul tema della crisi ambientale ci sia un totale lassismo delle istituzioni, probabilmente perché, comprendendone la gravità, ci aspettiamo dei grandi interventi che salveranno il mondo. In realtà, da quarant’anni a questa parte, il pianeta ha subito delle sostanziali modifiche che hanno portato la tecnica molto più avanti di quanto si potesse prevedere al tempo, ma ovviamente non è ancora stato sufficiente, perché il reale problema sta nel nostro approccio alla questione ambientale, ancora oggi basato su un’ottica di sfruttamento della Terra, piuttosto che di una comprensione delle sue attitudini.

Nel 1987 la Commissione Mondiale per Ambiente e Sviluppo, guidata da Gro Harlem Brundtland- al tempo Primo Ministro di Norvegia, ha stilato il Rapporto Our Common Future, più noto come Rapporto Brundtland, in cui veniva sancito per la prima volta il principio di sviluppo sostenibile, destinato a stravolgere il nostro modo di approcciarci al pianeta, o almeno così si pensava.

La più grande novità che il Rapporto Brundtland ha apportato ai sistemi giuridici e tecnici con l’ideazione dello sviluppo sostenibile sta già nella sua definizione, che rappresenta un vero e proprio atto di umanizzazione delle azioni economiche. “Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri[1]. Un grido che sembra quello di Helen Lovejoy in una famosa scena dei Simpson.

In poche parole, quello che il Rapporto Brundtland suggerisce è smettere di guardare il mondo pensando solo al presente, di iniziare a razionalizzare le risorse del suolo per fare in modo che possano essere fungibili per i posteri. Riflessione oggi abbastanza scontata ma che, in pieno consumismo, ha fatto storcere il naso a molti.

Ed è proprio nel nostro rapporto col consumismo che individuiamo la prima connessione tra lo sviluppo sostenibile e Leopardi, che era riuscito a prevederlo con cento anni di anticipo, ben due volte.

Nello Zibaldone Leopardi spiegava come sia la Natura stessa a porci davanti ad un bisogno di felicità che, però, non può essere soddisfatto perché in realtà non esiste[2]. Questo ci costringe a rifugiarci in qualcosa di esterno, nei beni materiali. Di fatto ci illudiamo di comprare la felicità acquistando degli oggetti senza badare al loro impatto ambientale, stando attenti al mero soddisfacimento delle nostre esigenze personali.

Poi, ancora, e ben più esplicitamente, nei Pensieri[3], c’è una riflessione sulla carta stampata in cui, dopo un primo slancio in favore dell’ottimizzazione degli spazi nel passaggio dai libri ai manoscritti, lamenta la larga diffusione dello stampato che, essendo immediatamente fruibile, permette l’acquisto dei libri per dare impressione di averli letti, più che per leggerli, rendendone l’acquisto un triste virtuosismo.

Da queste due riflessioni emerge un fattore comune: il vuoto del genere umano, incapace di provare felicità e disinteressato da una propria crescita personale. E proprio qua subentra lo sviluppo sostenibile, che ha avuto il grande pregio di unire al rapporto tra ambiente ed economia l’aspetto sociale, del progresso umano. Ciò che il Rapporto Brundtland ha voluto trasmetterci è, in primo luogo, l’assunzione dell’ambiente, non più come mezzo, ma come fine-valore, qualcosa da preservare per poter garantire la corretta esistenza del genere umano. Il Rapporto Brundtland riesce a porre il concetto della salvaguardia degli ecosistemi come una questione strettamente valoriale, per proteggere il nostro futuro, i nostri figli; non più come qualcosa che va fatta “perché sì”.

E anche qui Leopardi ci ha anticipati. Quando ha proposto la concezione di Natura Matrigna ci ha messi davanti all’indole strettissimamente meccanicistica della Terra, e ci ha consigliato di abbandonare questo finalismo per favorire un più concreto meccanismo in cui siamo solo dei piccoli ingranaggi e non abbiamo alcun ruolo da protagonisti. Se fossimo riusciti ad accettare questa visione coi tempi giusti, probabilmente non ci saremmo trovati nel pieno di una crisi climatica.

Per decenni abbiamo trovato rifugio dai cambiamenti ambientali modificando leggermente le nostre abitudini, ogni giorno sempre di più. Qualcuno sostiene che tutto ciò sia normale, che il mondo cambia e che spetta a noi adeguarci; questo è quanto di più superficiale che si potrebbe sostenere in merito alla questione ambientale. Tutte queste persone sono assimilabili alla figura dell’islandese che dialoga con la Natura[4]: gente che nega i cambiamenti climatici, o il più evidente scioglimento dei ghiacciai- poi però magari crede ai rettiliani- e si nasconde dietro un semplice “dobbiamo adattarci”.

La stessa, presunta, capacità di adattamento aveva spinto l’islandese, stanco del freddo della sua terra natale a partire dall’Islanda alla volta di condizioni ambientali migliori. Così l’islandese ha scoperto la varietà dei climi, che lo affliggevano nonostante lui facesse di tutto per turbare meno possibile gli habitat e animali che trovava in giro, che, all’opposto, lo aggredivano. Di fatto, l’uomo ha accusato la Natura di aver creato il mondo solo per tormentare il genere umano[5]; e qui torna ancora la visione finalistica della natura leopardiana: la natura tenderà sempre alla sua autoconservazione, senza curarsi degli uomini. Un grande meccanismo in cui tutto il male inflitto al Pianeta ci torna contro.

La storia ha due finali, ed entrambi prevedono una tragica morte dell’islandese, simbolo di un uomo che nulla può di fronte la forza della Natura.

Il nostro rapporto con l’ambiente ha vissuto tre diverse fasi: la prima è stata quella dello sviluppo contro l’ambiente, la seconda dello sviluppo sostenibile, e la terza- in cui sembrerebbe che stiamo iniziando ad addentrarci- dell’ambiente per lo sviluppo[6]. Sebbene lo sviluppo sostenibile abbia rappresentato una fase necessaria, ed assolutamente positiva, del progresso tecnico e scientifico; come indica il termine stesso, il suo valore finale è rimasto sempre lo sviluppo, portato avanti dall’uomo. Limite, dunque, di questo stadio del nostro progresso resta la figura umana come soggetto attuatore delle sorti degli ecosistemi, quando invece dovrebbe essere solo uno dei mezzi attraverso i quali la Terra si autoregola[7].

La prossima fase, a cui ci avvieremo non appena la transizione ecologica avrà concretamente luogo, ovvero quella dell’ambiente per lo sviluppo, è la via attraverso la quale l’ambiente tornerà il centro della prospettiva di crescita, e noi, rispettandone le esigenze, potremo crescere in armonia con esso.

“Non mi fido dell’uomo né delle bestie, credo solo ai Leopardi di Recanati”[8]

 

[1] World Commission on Environment and Development, Our Common Future, 1987

[2] Zibaldone, 27 maggio 1829

La natura non ci ha solamente dato il desiderio della felicità, ma il bisogno; vero bisogno, come quel di cibarsi. Perché chi non possiede la felicità, è infelice, come chi non ha di che cibarsi, patisce di fame. Or questo bisogno ella ci ha dato senza la possibilità di soddisfarlo, senza nemmeno aver posto la felicità nel mondo. Gli animali non han più di noi, se non il patir meno; così i selvaggi: ma la felicità nessuno

[3]La sapienza economica di questo secolo si può misurare dal corso che hanno le edizioni che chiamano compatte, dove è poco il consumo della carta, e infinito quello della vista. Sebbene in difesa del risparmio della carta nei libri, si può allegare che l’usanza del secolo è che si stampi molto e che nulla si legga. Alla quale usanza appartiene anche l’avere abbandonati i caratteri tondi, che si adoperarono comunemente in Europa ai secoli addietro, e sostituiti in loro vece i caratteri lunghi, aggiuntovi il lustro della carta; cose quanto belle a vederle, tanto e piú dannose agli occhi nella lettura; ma ben ragionevoli in un tempo nel quale i libri si stampano per vedere e non per leggere.”

Pensieri, III, 1845

[4] Dialogo della Natura con un islandese, Operette Morali, 1824

[5] Qui un breve estratto dell’accusa che l’islandese porge alla Natura “[…] tu sei nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e di tutte le opere tue; che ora c’insidii ora ci minacci ora ci assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora ci laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti; e che, per costume e per instituto, sei carnefice della tua propria famiglia, de’ tuoi figliuoli e, per dir così, del tuo sangue e delle tue viscere

[6] ROSSI G., Diritto dell’ambiente, G. Giappichelli Editore, 2021

[7] FRACCHIA F., Sviluppo sostenibile e diritti delle generazioni future, in Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente Anno 2010 / Numero 0, G. Giappichelli Editore

[8] La Matrigna – Skit, Exuvia, Caparezza

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