L’alternativa cinese alla morale liberal-democratica

La democrazia liberale è in crisi. Le sfide a questa particolare forma di governo provengono sia dall’esterno, con il crescente potere geopolitico delle autocrazie, sia dall’interno, con lo sviluppo e la diffusione di movimenti anti-sistema in tutto l’occidente. Tuttavia, lo scontro più nefasto è quello combattuto sul piano valoriale: può esistere una forma di governo diversa da quella liberal-democratica e ugualmente legittima sul piano morale? Nell’articolo cercherò di discutere tutto questo con occhio critico, tenendo a bada, per quanto possibile, i vari pregiudizi morali e culturali.

La democrazia liberale oggi

Da ormai diversi anni non faccio che imbattermi nella celebre tesi del politologo statunitense Francis Fukuyama, annunciata nel 1989: «È possibile che siamo giunti […] alla fine della storia in quanto tale; vale a dire al capolinea dell’evoluzione ideologica dell’umanità e all’universalizzazione della democrazia liberale occidentale quale forma ultima di governo dell’umanità».[1] Con la fine della Guerra Fredda e la vittoria dei valori occidentali su quelli Sovietici, in molti cominciarono a guardare al futuro con un particolare senso di ottimismo. Sembra che aspettarsi un domani migliore al termine di una guerra sia un’usanza ricorrente. Scrive Huntington: «La Prima guerra mondiale avrebbe dovuto porre fine alle guerre e preparare il mondo alla democrazia. La Seconda guerra mondiale […] avrebbe messo fine al sistema di iniziative multilaterali, alle alleanze esclusive, agli equilibri di potere e a tutti gli altri espedienti tentati per secoli e puntualmente falliti».[2] La storia però ci ha insegnato diversamente.

La previsione di Fukuyama si è dimostrata errata. Secondo il report pubblicato da Freedom House, un’organizzazione internazionale non governativa dedita alla difesa degli ideali democratici nel mondo, il 2021 è stato il sedicesimo anno consecutivo in cui si è registrato un declino generale della libertà globale. Ad oggi, circa il 38% della popolazione mondiale vive in paesi “Not Free” e questa proporzione corrisponde alla più alta mai registrata dal 1997. In Africa, solo il 7% della popolazione vive in paesi considerati “liberi”, mentre in Asia-Pacifica la percentuale corrisponde al 5% di 4.2 miliardi di persone.[3] Altro che fine della storia!

L’alternativa cinese

E se esistesse una forma di governo diversa da quella liberal-democratica e ugualmente legittima sul piano morale? Per oltre settant’anni abbiamo vissuto all’interno di un regime internazionale di stampo liberale, caratterizzato da una narrativa basata sull’universalismo dei valori occidentali. Questo ha ridotto il campo della legittimità morale dei governi all’unico criterio compatibile con l’occidente, cioè il consenso dei cittadini espresso tramite elezioni. Ma se fossero proprio i cittadini ad individuare un criterio diverso? Un criterio magari più compatibile con la tradizione storica e culturale del proprio paese e che per questo possa far sì che il governo produca risultati migliori? Significativa, in questo senso, è la sfida lanciata da Eric Li alla democrazia liberale durante una TED conference nel 2013: «Gli occidentali sono sempre dell’idea che le elezioni pluripartitiche con suffragio universale siano l’unica fonte di legittimità politica. Mi è stato chiesto una volta: “il Partito non è stato votato mediante elezioni. Da dove trae dunque la sua legittimità?”. Io ho risposto: “Magari dalla sua competenza?”. Conosciamo tutti i fatti. Nel 1949, quando il Partito prese il potere, la Cina era impantanata in guerre civili, smembrata dall’aggressione straniera e a quel tempo l’aspettativa media di vita era di quarantun anni. Oggi la Cina è la seconda economia più grande del mondo, una potenza industriale e il suo popolo vive in una prosperità che va crescendo».[4] Come ha puntualmente sottolineato Graham Allison, politologo e professore alla Harvard Kennedy School, «Nel corso di una sola generazione, una nazione che non compariva in nessuna delle classifiche internazionali è balzata al primo posto. Nel 1980, il prodotto interno lordo della Cina era inferiore a 300 miliardi di dollari; nel 2015 erano invece diventati 11.000 miliardi.[5] Una generazione fa novanta cinesi su cento vivevano con meno di due dollari al giorno. Oggi lo fanno meno di tre persone su 100».[6] Perché mai i cittadini cinesi dovrebbero voler cambiare il sistema politico che ha permesso loro di passare da una condizione di povertà assoluta ad una vita di agiatezze e prosperità?

Il governo di Pechino ricava la propria legittimità morale dai risultati ottenuti in favore del proprio popolo, non da elezioni democratiche e periodiche. Inoltre, il sistema monopartitico rispecchia a pieno la stessa millenaria cultura cinese. «Per i cinesi – scrive Allison – l’ordine rappresenta il valore politico fondamentale e l’alternativa all’ordine è il caos. L’ordine armonico è creato da una gerarchia in cui tutti nella società non solo hanno un posto, ma sanno anche quale esso sia».[7] In Cina, la società viene prima dell’individuo. Niente di più diverso dalla cultura liberal-democratica occidentale: noi all’ordine preferiamo la libertà e i nostri sistemi politici sono l’espressione di un sistema morale che chiamiamo individualismo etico: «Individualismo – afferma Pecora – perché […] pone l’individuo al centro della sua attenzione; etico, perché riconosce che egli è sacro e che perciò va salvaguardato…».[8] Forse sono proprio queste profonde differenze culturali ad impedirci di accettare un criterio di legittimità diverso dal nostro. Noi affermiamo che la nostra cultura sia superiore a tutte le altre e che, per questo, debba assumere un carattere universale. Ma come afferma Huntington: «Quello che per l’Occidente è universalismo, per gli altri è imperialismo».[9] Henry Kissinger, ex Segretario di Stato degli Stati Uniti, ha saggiamente sottolineato come la convinzione che i principi occidentali siano universali «abbia introdotto un elemento di contraddizione nel sistema internazionale, perché implica che i governi che non li praticano non siano pienamente legittimi».[10] Non considerare come legittimo il governo di un paese che si appresta a diventare la prima economia mondiale potrà solo produrre conseguenze negative per tutti: alcune le stiamo già vivendo in questo momento.

A mo’ di conclusione: un’opportunità da non perdere. 

Spero che il lettore non fraintenda. Sarò per sempre grato a tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita affinché oggi io potessi vivere in un paese liberal-democratico. Allo stesso tempo, sarebbe impossibile per chiunque negare che lo sviluppo e la diffusione dei valori occidentali degli ultimi secoli abbiano contribuito significativamente all’avvento della modernità nel mondo. Dovremmo tuttavia cercare di presentarci al tavolo della discussione morale con meno arroganza. Dando per scontati quei valori che ormai da anni governano la nostra vita, potremmo commettere l’errore mortale di dimenticare il loro carattere peculiare, storico e culturale. La liberal-democrazia non è piombata su di noi in un lampo: ci sono voluti secoli di rivoluzioni e guerre che lentamente hanno plasmato la nostra storia e la nostra cultura. Sarebbe ingenuo, da parte nostra, pretendere che un’autocrazia vecchia di millenni come quella cinese diventi una democrazia liberale in poco tempo.

D’altra parte, l’alternativa cinese potrebbe rappresentare una grande opportunità di miglioramento per i nostri sistemi politici. «La maggior parte delle democrazie elettorali nel mondo – sempre Eric Li nella conferenza del 2013 – evidenzia prestazioni davvero pessime. Non ho bisogno di dimostrare quanto [le democrazie] siano malfunzionanti, da Washington alle capitali europee. […] I governi vengono eletti, poi scendono al di sotto del 50% del consenso generale in pochi mesi, rimangono lì e peggiorano fino alle successive elezioni. La democrazia sta diventando un ciclo perpetuo di elezioni e rimpianto. A questo ritmo, temo che sia la democrazia a correre il rischio di perdere legittimità, non il sistema monopartitico cinese».[11] Il sistema cinese sta funzionando, il nostro peggiora a vista d’occhio. Da Pechino potremmo allora prendere spunto per ripensare la “liberal-democrazia in chiave cinese”. Potremmo cioè provare ad utilizzare contemporaneamente il criterio liberal-democratico del consenso e quello cinese della competenza per definire la legittimità dei nostri sistemi politici.

 

[1] Francis Fukuyama, The End of History, in The National Interest, n.16, Estate 1989, pp.3-18.

[2] S. Huntington, Lo Scontro delle Civiltà (Milano: Garzanti, 2000), p.29.

[3] Freedom House, https://freedomhouse.org/report/freedom-world/2022/global-expansion-authoritarian-rule

[4] Eric X. Li, “A Tale of Two Political Systems”, TED Talk, giugno 2013.

[5] Graham Allison, Destinati alla Guerra (Roma: Fazi editore, 2018), p.37.

[6] ivi, p.49.

[7] ivi, p.231.

[8] G. Pecora, Il Lumicino della Ragione cit., p.19.

[9] S. Huntington, Lo Scontro delle Civiltà cit., p.266.

[10] Henry Kissinger, Ordine Mondiale (Milano: Mondadori, 2017), p.235.

[11] E. Li, “A Tale of Two Political Systems”, TED Talk, giugno 2013.

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