La debolezza democratica esalta la forza del regime

La recente invasione della Russia in Ucraina ha evidenziato le forti crepe che le democrazie occidentali stanno subendo. Benché sia stata considerata da Putin una mera “operazione speciale”, l’occupazione russa ha evidenziato un crescente aumento dei regimi nazionalisti che annullano l’autodeterminazione dei popoli e, ad effetto domino, colpiscono le istituzioni democratiche, oltre che l’essenza di democrazia stessa. Uno studio, portato avanti da Freedom House, sottolinea un triste rapporto fra ieri e oggi sui paesi che si sono avvicinati ai regimi democratici e quelli che, invece, vi si sono allontanati.

Perché ho parlato proprio della guerra, in apertura? Storicamente, la guerra è ciò che ha provocato distruzione, panico e morte, soprattutto in giro per l’Europa nell’ultimo secolo. Dopo la seconda guerra mondiale il bisogno di pace ha aumentato il bisogno di ricorrere alla democrazia che, nel corso degli anni, ha “invaso” gran parte delle nazioni, portando con sé pace, prosperità e stabilità, oltre che economica. Ma negli ultimi, specie nell’ultimo ventennio, il trend di avvicinamento al regime “del popolo” è andato in controsenso (si stima che, dal 2006 ad oggi, più di 25 paesi abbiano subito il cosiddetto “cedimento democratico”). Il problema principale, però, è il velo che avvolge questo cedimento. I leader politici, specie i più nazionalisti e coloro i quali detengono una percentuale di potere più alta, hanno e stanno facendo di tutto per mantenere un’illusione di legittimità democratica dal momento che, è questo è innegabile, se visti con occhi “esterni”, regimi come la Cina, la Russia evitano di reprimere in modo brutale i principali leader dell’opposizione (nonostante l’episodio Naval’nyj) per creare (o mantenere) per avere, dall’interno, un’idea di equità e equilibrio. Da questo punto di vista proprio i regimi autocratici, nell’ultimo periodo, stanno fornendo un senso di benessere materiale che ha sempre più convinto i cittadini di paesi più poveri ad avvicinarsi a queste nazioni barattando, di fatto, il bisogno e la possibilità di abbracciare istituzioni democratiche che, nel frattempo, subiscono frequentemente fratture e divisioni interne che mettono in pericolo non solo gli equilibri geopolitici, ma alimentano un deterioramento di storiche nazioni che fondano la loro storia sul rapporto fra Stato e cittadino.

Questa recessione democratica, per altro, sta colpendo principalmente i paesi istituzionalmente più deboli e socialmente arretrati: basti pensare a paesi come l’Arabia Saudita (torna il discorso del cedimento della propria libertà in cambio di un crescente bisogno materialista) che viene classificato nello studio di Freedom House come “non libero” o, ancora, paesi come l’Afghanistan o la Tunisia dove il declino è già iniziato, da tempo. E non è un caso se parte della colpa risiede nell’”egoismo” degli Stati Uniti dell’esportazione della democrazia. Parliamoci chiaro: paesi con società culturalmente non pronte, oltre che economicamente fragili e con regimi decisamente deboli, benché protetti dagli USA, non posso ambire a delle rapide escalation in favore della democrazia. In Italia abbiamo avuto bisogno di superare il ventennio fascista; in Germania, si è dovuto attendere il capitolare del regime nazista, così come per gli Stati Uniti stessi che hanno colto, durante il periodo dell’illuminismo e delle rivoluzioni, il sentimento patriottico che li allontanava sempre di più dall’allora madre patria Inghilterra e che è sfociato nell’unione culturale americana. È questo il problema: pensare di omologare la storia di altri paesi alla propria, applicare un ragionamento meccanico a meccanismi che non hanno niente di “preimpostato”, anzi, ragionano di sentimenti, di pensieri filosofici e letterari (basti pensare al nostro d’Annunzio nel ventennio) oltre che di emozioni culturali e sociali, non solo risulta dannoso per il paese che si prepone ad insegnare cos’è la democrazia, perché si finirà sempre con il fallire clamorosamente, ma si rischia di bruciare importanti tappe in un processo democratico per tutti quei paese che, prima o poi, vi arriveranno soli. La storia, non dimentichiamolo, è ciclica ed è proprio questa circolarità che pone in essere il terreno fertile per la creazione di quella che potrebbe essere una futura società basata su istituzioni repubblicane e democratiche.

Il momento che stiamo passando, per quanto terribile, deve essere sempre visto in ottica storica, non nel breve ma nel lungo termine. Se l’Unione Europea, nonché culla della democrazia (oltre che dei potenti nazionalismi del ‘900) riuscirà ad uscirne compatta, il tempo ci restituirà dei periodi che faranno cadere nello sconforto quelle politiche di potere che puntano non al benessere comune, ma allo sconforto culturale, oltre che divisivo e, pericolosamente, eversivo. Il rapporto con la storia deve essere in funzione di un miglioramento della società umana, non di deterioramento.

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