Il referendum non è uno strumento logorato, è solo usato male.

Domenica, durante la tornata referendaria, si è registrato il più basso tasso di affluenza alle urne nella storia italiana: 20,9%. Il dato appare ancora più sconfortante se confrontato con l’affluenza alle amministrative, che mette in evidenza il totale disinteresse per il referendum, dal momento che molti degli elettori, pur recandosi a votare per le comunali, non hanno ritirato le schede per i requisiti referendari.

I cinque quesiti referendari erano sicuramente complessi, ma far passare l’80% degli italiani per degli zoticoni non in grado di comprenderli è sinonimo di superbia e totale assenza di umiltà da parte della politica.

Una politica incapace di fare autocritica e non in grado di analizzare con oggettività i fatti.

La dimostrazione di tutto ciò è stata evidente nel momento in cui, anziché ragionare sui dati oggettivi e cercare di comprendere le motivazioni per le quali i cittadini non si sono interessati ai referendum e non hanno approfondito i cinque temi, si è cominciato a ragionare sull’abbassamento del quorum referendario del 50%+1 e a parlarsi addosso, addossandosi le colpe reciprocamente.

Leggendo i giornali del lunedì, non vi nascondo di aver pensato anche io di lasciar perdere e di essermi pentito di aver votato.

Nonostante il senso di sfiducia, abbandonare la nave non avrebbe certo migliorato le cose.

Rianalizzando i dati mi sono detto che certamente tra quel 80% di persone c’è stato chi ha ritenuto – giustamente – che su determinate tematiche dovrebbe essere il Parlamento a decidere piuttosto che il cittadino. D’altronde, in un Stato parlamentare la delega è il fulcro per il corretto funzionamento del sistema, con governanti che dovrebbero essere dotati di competenza politica e tecnica.

Ma sarebbe un errore pensare che la giustizia non sia un tema su cui i cittadini possono essere coinvolti per celare le lacune e deresponsabilizzare l’attuale classe politica.

Lo strumento referendario non può essere utilizzato ogniqualvolta si voglia porre veti su singole persone o su singoli temi su cui il Parlamento non è in grado di decidere. Il referendum deve essere indetto su tematiche di immediata comprensione e su tematiche ideologiche in grado di permettere un’evoluzione della società in quanto a diritti. Di fornire la propria visione del mondo e permettere alla legge di progredire al passo con la società. Non penso sia un caso che il referendum più partecipato della storia fu proprio quello del 1974 in materia di divorzio.

E mentre la politica parla di logoramento dello strumento referendario e di abolizione dello strumento, Federico Carboni (per tutti “Mario”) ieri ha potuto premere quel tasto per azionare l’«aggeggio», come lo chiamava lui, e far arrivare nelle sue vene il farmaco mortale, registrando il primo caso di suicidio assistito in Italia.

Alla faccia di chi quel referendum sull’eutanasia l’ha bocciato e non ha permesso ai cittadini di migliorare la società in cui viviamo.

Le 500 parole di AQTR tornano la prossima settimana.

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