Giovani wanna be pensioners: quando le politiche programmatiche appaiono un miraggio

La pensione per gli under 30? Come direbbe il nostro Presidente della Repubblica: “un sogno, forse una favola”.

E a raccontare questa favola – che ahimè appare più come un vero e proprio incubo – è il simulatore dell’Inps “Pensami”: per un giovane o una giovane 25enne in attività da 12 mesi la pensione anticipata potrà essere raggiunta a settant’anni, mentre quella per vecchiaia a 70 anni e sei mesi.

Il tutto però se si sono accumulati contributi di almeno 46 anni e 4 mesi nel primo caso e oltre 20 anni nel secondo.

La musica cambia in peggio se gli anni di contributi sono meno di 20 anni ma più di 5: in questo caso l’attesa per la pensione di vecchiaia si prolungherà fino a 74 anni e 10 mesi. Per i trentenni la situazione è di poco migliore con la pensione di vecchiaia per un lavoratore nato nel 1990 a 70 anni con 20 anni di contributi e a riposo con quella anticipata con 45 anni di contributi versati a prescindere dall’età.

Il simulatore, con aggiornamento alle novità in legge di Bilancio che verosimilmente inciderà sul meccanismo di calcolo pensionistico, è presente sul sito dell’INPS e consente ai cittadini di calcolare le proprie prospettive pensionistiche senza la necessità di effettuare alcuna registrazione.

Lo scenario della pensione si va ad inserire all’interno di un panorama tutt’altro che roseo per i giovani.

In Italia, il tasso di abbandono precoce della scuola dell’obbligo è del 12,7% e siamo penultimi in Unione Europea per numero di laureati tra i 25 e i 34 anni. Sul lato del mercato del lavoro, i numeri non migliorano con un tasso di disoccupazione giovanile che si attesta al 23% di disoccupazione tra i 15 e i 29 anni (terzo paese dell’Unione Europea con la percentuale più alta – media UE del 13%), il 17% di NEET, ovvero giovani che non studiano e non lavoro (secondi per numero in Unione Europea, immediatamente sotto la Romania e con un valore medio nei paesi UE pari al 13,7%) e più di 243.000 under 35 usciti nel 2022 dall’Italia e mai rientrati (ai quali, per altro, è stato reso ancora più difficile il ritorno stante la lettura dell’ultima legge di bilancio).

Di fronte a questi numeri, non appare strano che i giovani non abbiano alcuna fiducia verso la politica e verso una classe dirigente che non li considera.

Secondo il Sondaggio SWG per Italian Tech, dell’agosto agosto 2022, il 43% dei giovani nella fascia 18-35 anni non ha fiducia nella classe politica e non vede nel voto un valido strumento di cambiamento. L’astensionismo giovanile alle elezioni politiche del settembre 2022 è stato del 37%; e chi è andato a votare, con quale spirito l’ha fatto? Il menzionato sondaggio SWG rileva che il 90% lo ha fatto per mero senso civico.

Tra le fonti dell’astensionismo giovanile si può includere una politica sempre più incentrata a rincorrere il consenso, che non punta su programmi in grado di garantire riforme strutturali sostenibili sul lungo periodo. In questo contesto, la questione giovanile viene considerata spesso più come un problema da risolvere e non come indispensabile per il futuro del Paese.

Come invertire la rotta? È necessario assumere una consapevolezza: i giovani in Italia sono molti, ma non sanno di essere una classe sociale che unita può fare la differenza e può davvero incidere nel creare politiche programmatiche a medio – lungo termine per migliorare la condizione della generazione 20e30.

È, ora più che mai, arrivato il momento di agire.

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