Il movimento 5 stelle si è ufficialmente spaccato. Ieri è nato il gruppo, guidato da Luigi Di Maio e denominato “insieme per il futuro”.
L’assemblea ha eletto l’ex ministro Vincenzo Spadafora coordinatore politico, il deputato Giuseppe L’ Abbate coordinatore del manifesto politico.
Capogruppo al Senato Primo Di Nicola (quando il gruppo sarà costituito, per ora non è possibile perché in base alle regole di palazzo Madama ci vuole un simbolo presente sulla scheda e che è servito per eleggere qualcuno), alla Camera Iolanda Di Stasio con Pasquale Maglione come vice presidente vicario.
Il nuovo partito si prefigge l’idea di portare avanti l’idea di una politica al passo con i tempi, che eviti qualsiasi forma di populismo e sovranismo e che guardi avanti anziché indietro. Vicino a Draghi e in un centro molto affollato.
Stante le letture degli ultimi articoli, gli ideali che hanno spinto alla scissione sarebbero insiti nella volontà di creare un gruppo in grado di dire basta all’antipolitica, alle promesse impossibili e con la voglia di fare una politica concreta e con obiettivi tangibili e vicini ai cittadini.
La frattura tra Conte e Di Maio era ormai nell’aria da parecchi giorni: i due non avevano più dialogo e i tempi degli abbracci e degli eventi elettorali congiunti apparivano essere ben lontani da tempo.
Certo sul tavolo ci sono diverse questioni che potrebbero indurre gli ex elettori 5 stelle a non votare il partito di Di Maio: dal vincolo del secondo mandato alla multa per chi abbandona il movimento per passare in un altro gruppo.
Ma il punto su cui vorrei soffermarmi è il seguente: con la scissione dei 5 stelle è davvero finita l’era del populismo e dell’antipolitica?
Otto anni fa, lo tsunami 5 stelle ha invaso la politica: si parlava di abolizione della casta, di privilegi, di auto blu e di tutto il marcio che girava attorno ai palazzi. Si parlava di Terza Repubblica come la repubblica dei cittadini.
La gente era affascinata dall’antipolitica: chiunque al bar, almeno una volta, avrà sentito le famose parole “tanto appena arrivano li rubano tutti, almeno loro provano ad essere onesti”.
L’antipolitica è stata la risposta più semplice ad un problema complesso e irrisolvibile: la politica è fatta dagli esseri umani.
I palazzi hanno insegnato ai 5 stelle che per fare politica serve conoscenza dei temi, pazienza, dialogo, incontro e compresso. Non basta saper comunicare nelle piazze.
Comunque la si veda e a prescindere da quale schieramento si voglia assumere (sempre che se ne voglia assumere uno), la scissione ha mostrato tutte le debolezze del movimento, comportando uno spargimento di sangue che ha fatto presto avvicinare gli squali trionfanti (Renzi su tutti).
La nota positiva è che anche i cittadini si sono stufati dell’antipolitica. O semplicemente hanno compreso che non può essere la strada.
Non si può arrivare al potere per semplice protesta ma ci si deve assumere la responsabilità di avanzare proposte concrete per un miglioramento sotto il profilo economico e sociale. Nel rispetto delle istituzioni, del loro decoro e dei processi decisionali.
Sono lontani i tempi del vaffa. Ora è di nuovo il tempo di ascoltare e raccogliere le istanze dei cittadini, per concretizzarle nei palazzi. Con competenza e consapevolezza del proprio ruolo.
L’apriscatole si è rotto e si è riscoperta la politica.
Limitare l’esperienza del M5S alle scatolette e all’antipolitica è francamente imbarazzante. Insieme per il futuro dovrebbe essere la speranza per il ritorno alla politica? È spontaneo farsi la domanda: a quale politica si vuole tornare? Tutto sembra far pensare che il ritorno sia alla politica dell’uomo forte, alle congreghe a lui vicino. Mentre fuori dai palazzi il popolo si impoverisce e si rassegna sempre di più a non avere risposte.