Di Maio: da 5 a 50 stelle è un attimo.

Diciamocelo, questa settimana sono successe molte cose ma la mano di Luigi Di Maio portata al cuore durante l’inno americano con alle spalle la bandiera a stelle e strisce mi ha particolarmente colpito.

Una foto “segnante” che pone un solco definitivo, se ancora fosse necessario, tra il Di Maio dei primi giorni (quello in vespa con Di Battista, delle piazze e dei vaffa day) e l’attuale Ministro degli Esteri.

Premetto una cosa: le parole di Di Maio sono sacrosante nel sostenere che “non ci possano essere dubbi nel sostenere l’Ucraina” e sul fatto che l’“Italia sia saldamente nella Nato perché bisogna stare dalla parte giusta della storia”.

L’Ucraina è stata invasa dalla Russia ed è giusto che non resti isolata all’interno del conflitto.

Quello che mi ha stupito – né in negativo, né in positivo, semplicemente mi è apparsa inaspettata – è stata la giravolta politica compiuta dall’attuale leader di Insieme per il Futuro.

In una manciata di giorni, le manovre politiche di Di Maio hanno puntato tutte nella medesima direzione: rinfoltire di truppe l’Esecutivo per metterlo al sicuro dai “moti”, a dir la verità ancora timidi e disordinati, del Movimento 5 Stelle, costituendo di fatto la stampella privilegiata di Mario Draghi e diventando punto di riferimento per i centristi.

Il Di Maio ex grillino Nato-scettico, sovranista nel governo con la Lega e sponsor dei gilet gialli, sembra essere un personaggio totalmente diverso da quello attuale, in piena sintonia con Macron e con l’asse atlantista.

Il populismo è stato colpito e affondato. È questo sicuramente è un bene. Dai palazzi garantiscono che la svolta sia dovuta a una presa di consapevolezza di come funziona la politica. D’altronde, la politica di piazza è cosa ben diversa dalla politica di palazzo e oggi fare politica ai vertici con idee anti-atlantiste appare praticamente impossibile in Italia (nonostante fino a ieri il 70% dei partiti vedesse di buon occhio la Russia).

I sondaggi, ad oggi, tuttavia non sembrano sorridere al nuovo capo politico, che fa decisamente fatica a far dimenticare il suo passato.

La stagione del voto è vicina e il mare da navigare appare quanto mai burrascoso.

Da settembre, tra ripresa dei contagi, siccità e crisi del gas e delle materie prime causate dal conflitto russo-ucraino, si creerà una forte tensione sociale difficilmente gestibile, generata da insoddisfazione, isolamento e alienazione, da sempre semi utili a far crescere l’ideale populista.

Chi beneficerà di tale disagio e chi invece porterà avanti politiche utili a contrastarlo e a non renderlo necessario?

Una cosa è certa: la nuova fase di Di Maio è iniziata (e ben venga) in un clima che più che di terza repubblica, stando a quando letto sui libri e raccontato da chi l’ha vissuta, ha un sapore sempre più simile a quello della prima.

 

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