Il referendum del 12 giugno 2022, promosso dalla Lega e dai Radicali, prevede cinque quesiti tra loro eterogenei in materia di giustizia. Prima di fare un commento sui possibili esiti, esaminiamo i singoli quesiti.
I cinque quesiti riguardano:
- l’abrogazione delle disposizioni in materia di incandidabilità;
- la limitazione delle misure cautelari:
- la separazione delle funzioni dei magistrati;
- il riconoscimento nei Consigli giudiziari del diritto di voto degli avvocati sulle valutazioni di professionalità dei magistrati;
- l’eliminazione delle liste di presentatori per l’elezione dei togati del Csm.
1. La Legge Severino
Il primo quesito, contrassegnato dalla scheda rossa, chiede ai cittadini di esprimersi sull’eventuale abrogazione del decreto Legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, ossia la nota Legge Severino in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi.
Cosa prevede la Legge Severino?
La nota Legge Severino prevede l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza automatica per i parlamentari, per i consiglieri regionali e per gli amministratori locali in caso di condanna definitiva per alcuni reati.
Nello specifico, la Legge Severino prevede l’incandidabilità per tre categorie di condannati con sentenza definitiva:
- coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, di stampo mafioso e con finalità di terrorismo;
- coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati contro la pubblica amministrazione;
- coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, determinata ai sensi dell’articolo 278 c.p.p.
Inoltre, si prevede la sospensione temporanea del mandato per gli amministratori regionali e di enti locali anche in caso di sentenza non definitiva, quindi, è sufficiente la sentenza di condanna di primo grado per procedere alla sospensione di diritto dall’incarico.
I sostenitori del sì, come si legge in vari manifesti, ritengono che la Legge Severino non abbia funzionato soprattutto per gli amministratori locali e regionali dal momento che per quest’ultimi si applica la sospensione automatica dalla carica elettiva con la sentenza di condanna di primo grado, non garantendo così la continuità della carica elettiva con il rischio di disagi per la collettività.
I fautori del sì, infatti, sostengono che con l’eventuale abrogazione non si correrebbe il pericolo di ritrovare gli organi elettivi presidiati dai condannati in via definitiva dal momento che si tornerebbe al sistema precedente, dove l’interdizione dai pubblici uffici viene rimessa alla scelta discrezionale del giudice.
Inoltre, per i condannati a una pena di reclusione superiore ai cinque anni si applica automaticamente l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
I fautori del no, tuttavia, sostengono che la Legge Severino è stata attuata proprio su impulso dell’Unione Europea visto che nel 2011 il nostro paese è stato classificato come il terzo paese OSCE più corrotto. Ritornare a un sistema discrezionale, in cui l’ interdizione ai pubblici uffici viene rimessa al giudizio discrezionale del giudice, in uno dei paesi più corrotti dell’Unione Europea, non appare, per i sostenitori del sì, quindi, la soluzione ideale.
2. La limitazione delle misure cautelari
Il secondo quesito, contrassegnato dalla scheda arancione, chiede di modificare uno dei presupposti per chiedere le misure cautelari.
Nello specifico, per poter applicare le misure cautelari, oltre ai gravi indizi di colpevolezza, in base all’art. 274 c.p.p., devono sussistere le seguenti esigenze cautelari:
- il pericolo di inquinamento delle prove, purché si tratti di pericolo concreto e attuale;
- il pericolo di fuga dell’imputato;
- il pericolo di reiterazione del reato.
Il secondo quesito chiede ai cittadini di abrogare il requisito del pericolo di reiterazione del reato. Di conseguenza, il giudice non potrebbe più applicare le misure cautelari in caso di pericolo di reiterazione del reato salvo il caso sussista il pericolo concreto che l’indagato possa commettere reati con l’uso di armi o altri mezzi di violenza personale, con la criminalità organizzata o contro l’ordine costituzionale.
I fautori del no, infatti, hanno subito obiettato che se vincesse il sì non si potrebbe più applicare la misura della custodia cautelare in carcere se sussiste il pericolo che l’indagato commetta un reato contro la Pubblica Amministrazione, come ad esempio, il delitto di corruzione. Inoltre, sarebbe più difficile sottoporre a misura cautelare un indagato per il delitto di stalking visto che verrebbe eliminato il requisito di reiterazione del reato e viene rimesso alla discrezionalità del giudice verificare se sussiste il pericolo concreto che l’indagato commetta reati con altri mezzi di violenza personale.
I fautori del sì, invece, sostengono che il nostro sia uno dei paesi con la più alta percentuale di indagati sottoposti alla misura della custodia cautelare in carcere e si vorrebbe, quindi, diminuire il rischio di far finire ingiustamente in carcere un soggetto prima dello svolgimento di un processo.
Ma il nostro è veramente un paese in cui si ricorre troppo alle misure cautelari?
In base al rapporto “Space I”, pubblicato della Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa (Cepej), al 31 gennaio 2020 emerge che il 31,1% dei detenuti, ossia 18.937 persone, sia sottoposto alle misure cautelari. Si tratta di un dato superiore alla media registrata nell’ambito dell’Unione Europa, intorno al 25,7%.
3. La separazione delle funzioni dei magistrati
Il terzo quesito, contrassegnato dalla scheda gialla, chiede ai cittadini di esprimersi sulla separazione delle carriere dei magistrati. In pratica, se vincesse il sì chi esercita la funzione di Pubblico Ministero non potrebbe più cambiare funzione e diventare giudice e viceversa.
In base alle norme vigenti, stabilite nel 2006, un magistrato può cambiare solamente quattro volte la propria funzione nel corso della propria carriera e per farlo deve seguire un iter specifico che prevede l’incompatibilità regionale, distrettuale e provinciale.
In particolare, per poter fare il cambio di funzioni è necessario:
- non avere cambiato funzioni, in precedenza, per più di quattro volte;
- un’anzianità di almeno cinque anni nella funzione svolta al momento della richiesta;
- la partecipazione ad un corso di qualificazione professionale organizzato dalla scuola della magistratura.
- il giudizio di idoneità al cambio funzioni espresso dal CSM.
La Riforma Cartabia, peraltro, interviene sul limite del passaggio di funzioni dei magistrati prevedendo che questo possa accadere solo una volta nell’arco della propria carriera.
I fautori del sì da sempre sostengono che per una maggiore imparzialità ed equidistanza del magistrato sarebbe necessario introdurre la separazione delle carriere.
I fautori del no, tuttavia, sostengono che il cambio di funzioni da requirente e giudicante e viceversa non sia un vero problema dal momento che solo una piccola parte dei magistrati effettua questa scelta e anzi il cambio delle funzioni permette una preparazione di gran lunga maggiore per il magistrato.
4. Il riconoscimento nei Consigli giudiziari del diritto di voto degli avvocati sulle valutazioni di professionalità dei magistrati
Il quarto quesito, contrassegnato dalla scheda grigia, concerne la possibilità ai professori e agli avvocati presenti nei Consigli giudiziari e nel Consiglio direttivo della Cassazione di esprimere pareri sulle carriere dei magistrati.
Attualmente, i membri laici nei Consigli giudiziari e nel Consiglio direttivo della Cassazione, quindi avvocati o professori, non possono esprimere delle valutazioni sull’operato dei magistrati, ma solo dei pareri sulle tabelle degli uffici giudiziari.
I fautori del sì ritengono che le valutazioni dei magistrati non siano eque e veritiere proprio perché sono fatte solamente dagli stessi magistrati.
I fautori del no, tuttavia, sostengono che se vincesse il sì si arriverebbe a un potenziale conflitto di interesse dal momento che i giudici verrebbero giudicati dagli avvocati creando così meno equidistanza e imparzialità nella funzione svolta.
La Riforma Cartabia, comunque, interviene sul punto e attribuisce diritto di voto ai membri laici presenti nei Consigli giudiziari e nel Consiglio direttivo della Cassazione per la valutazione dei magistrati.
5. L’eliminazione delle liste di presentatori per l’elezione dei togati del Csm
Il quinto quesito, contrassegnato dalla scheda verde, chiede ai cittadini di abrogare o meno la norma che concerne il numero di firme necessario per candidarsi al Consiglio Superiore della Magistratura, l’organo di autogoverno della Magistratura. Attualmente servono da 25 a 50 firme per candidarsi a membri del Csm.
I fautori del sì sostengono che eliminando il requisito del numero delle firme si eliminerebbe il peso delle correnti interne della magistratura, rendendo così più liberi i magistrati per candidarsi.
I fautori del no sostengono, invece, che la Riforma Cartabia interviene sulla riforma dell’elezione del CSM e che tale quesito referendario sia pressoché inutile visto che il numero necessario delle firme per candidarsi viene eliminato.
È vero che si sta dando poco spazio al referendum?
In effetti, si sta parlando poco del referendum. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Garante, AGCOM, ha richiamato all’unanimità la RAI e tutti i fornitori di servizi di media audiovisivi e radiofonici operanti in ambito nazionale, affinché garantiscano un’adeguata copertura informativa sui temi oggetto dei referendum.
Si raggiungerà il quorum?
In base all’art. 75 della Costituzione affinché il referendum sia valido deve essere raggiunto il quorum di validità, ossia devono partecipare alla votazione la maggioranza degli aventi diritto al voto.
Non è facile fare una previsione, ma da quello che appare sembra alquanto difficile il raggiungimento del quorum visto che c’è molto disinteresse da parte dei cittadini.
Una cosa è certa: non parlandone non si riesce a informare adeguatamente i cittadini delle questioni inerenti al referendum. Proprio perché si tratta di temi specialistici, a prescindere dalle proprie opinioni personali, si dovrebbe informare il più possibile i cittadini sui temi della Giustizia.