Chi era Jane Roe, storia di una donna che ha fatto la storia

Una delle notizie più importanti (ma anche la più triste) della settimana riguarda il ribaltamento e conseguente annullamento, da parte della Corte suprema, della sentenza Roe contro Wade che riconosceva il diritto all’aborto a favore della donna anche in assenza di problemi di salute propri, del feto e di ogni altra circostanza che non fosse rimessa ad una sua libera scelta.

La Corte suprema, in sostanza, con 5 voti contro 4, ha ritenuto che il diritto all’aborto non sia protetto dalla Costituzione degli Stati Uniti d’America, e che la competenza a legiferare in materia di aborto dovesse essere pertanto rimessa agli Stati federati, disconoscendo l’applicazione dell diritto all’aborto in tutti gli Stati federati.

Quello che non è stato evidenziato a sufficienza è che in molti Stati degli USA esistevano, in materia di aborto, delle “trigger laws” (leggi grilletto), ovvero delle leggi dormienti, mai abrogate e ancora presenti nel codice di molti Stati, inapplicabili per via di una sentenza di tribunale che lo impedisce ma pronte a “scattare come un grilletto” qualora tale sentenza venga ribaltata, senza bisogno di un nuovo procedimento legislativo.

Detto in estrema sintesi e con una frase leggermente impropria ma che permette di comprendere il concetto: negli USA una sentenza può essere considerata come una legge e, dunque, riconoscere o eliminare un diritto.

Le valutazioni in merito a tale abominevole sentenza già le sapete.

Quello che forse non sapete è la storia di Norma Leah McCorvey, alias Jane Roe, ventunenne texana dal passato difficile e tormentato. Norma, all’epoca dei fatti, aveva già avuto due figli (dati in adozione), non aveva un lavoro stabile e suo marito era molto violento. Anche a causa delle sue dipendenze e dell’età, non si sentiva di diventare madre per la terza volta ma lo Stato in cui viveva, il Texas, non prevedeva l’aborto, se non in caso di violenza o incesto.

Norma decide lo stesso di iniziare un processo quasi impossibile, diventando presto il simbolo di tutte le donne che sostenevano la libertà di scelta su un tema personale e delicato come quello dell’aborto.

Nel gennaio del 1973, arrivò finalmente la sentenza: la Costituzione federale riconosceva il diritto all’aborto anche in assenza di problemi di salute della donna, del feto e di ogni altra circostanza che non fosse la libera scelta. Norma, come tutte le donne statunitensi, erano libere di poter scegliere.

Una grande vittoria, per gli USA ma anche per il mondo che guardava ad oltre oceano con gli occhi di chi ci vedeva diritti, libertà e di speranza.

La sentenza di qualche giorno fa, ci riporta indietro di 41 anni esatti.

Non dobbiamo lasciare spazio all’indifferenza: le donne lo sanno molto bene, le conquiste non sono mai del tutto al sicuro. Vanno mantenute e difese continuamente.

E se in Italia il diritto all’aborto è ancora tutelato dalla Legge 194 del 1978, è anche vero che il numero di medici ginecologi che per motivi etici non praticano l’interruzione volontaria di gravidanza è in continua crescita, con il rischio concreto di lasciare intere regioni senza professionisti. E tale numero, dopo la recente sentenza, rischia di aumentare.

Una soluzione a tale problema potrebbe essere ricercata nelle anagrafi pubbliche, finalizzate a garantire l’effettività di tale diritto, ma serve una volontà politica.

E se d’oltre oceano arrivano venti freddi e conservatori, è bene che in Italia ci si vesta e ci si prepari a resistere. Per essere dalla parte giusta della storia.

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