chi ama correre, non segua la politica

Luglio è il mese delle crisi di governo.

L’anno scorso la crisi del Papeete, quest’anno la crisi del governo dei migliori. Ma andiamo con ordine e ricostruiamo insieme la giornata di ieri.

Tutto è partito nella giornata di mercoledì quando il Movimento 5 stelle ha annunciato che non avrebbe votato la fiducia sul DL aiuti proposto dal governo. Lo strappo di Conte ha aperto la crisi, frammentando la larga maggioranza e facendo pericolosamente vacillare il governo.

La mossa di Conte è stata tanto audace quanto scontata. La scissione dei 5 stelle ha provocato un malumore interno al Movimento che già stava scendendo pericolosamente nei sondaggi: l’uscita dal governo, con il passaggio all’opposizione per i mesi restanti al voto, appariva l’unica strada percorribile per recuperare consensi, magari con il reinserimento di personaggi come Di Battista, da sempre in grado di coinvolgere le piazze e parlare alla gente.

Quello che forse non si aspettava Conte è che Draghi non vedesse l’ora di trovare un casus belli per poter uscire dal suo stesso governo.

L’apertura al voto del PD è arrivata ieri in mattinata dal segretario Letta: non è un mistero che gli unici due partiti che potrebbero uscire vincitori da un voto immediato sarebbero proprio il Partito Democratico e il partito di Giorgia Meloni che, ad ogni modo, appare ben lontana dalla volontà di guidare realmente il paese, restando fossilizzata sul propagandismo e sulla ricerca del consenso.

In tutto ciò, Lega e partiti centristi ieri apparivano disperati dall’ipotesi del voto, non essendo assolutamente pronti a reggere un tale urto.

Il telefono di Amato nel pomeriggio di ieri ha squillato più del dovuto e questo non è un mistero.

Alle 19.30 è arrivata la notizia: Mario Draghi si dimette dalla carica di Primo Ministro. “Voglio annunciarvi che questa sera rassegnerò le mie dimissioni nelle mani del presidente della Repubblica”. Così il premier, Mario Draghi, ha annunciato la sua decisone intervenendo in Consiglio dei ministri. “Le votazioni di oggi in Parlamento sono un fatto molto significativo dal punto di vista politico. La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più”.

Alle 19.50 arriva il colpo di scena: Mattarella rifiuta le dimissioni di Mario Draghi e lo invita a presentarsi al Parlamento per rendere comunicazioni, affinché si effettui, nella sede propria, una valutazione della situazione che si è determinata a seguito degli esiti della seduta svoltasi oggi presso il Senato della Repubblica.

Tutti si riaggiorneranno settimana prossima, precisamente mercoledì.

Gli scenari, oggi più che mai, sono imprevedibili perché le parti in causa sono mosse da interessi tra loro contrapposti: da un lato, la maggioranza dei partiti non vuole andare al voto e non ha alcuna intenzione di anticipare le elezioni mentre, dall’altro, c’è un Mario Draghi estremamente turbato da una legge di bilancio molto complessa da scrivere e che potrebbe rovinargli la reputazione costruitasi nel corso degli anni.

Una cosa è certa: ci vorrà ancora pazienza per capire cosa succederà. Ma, d’altronde, non siate impregnati dal falso mito della velocità purificatrice che non lascia spazio alla fantasia: le partite prima si devono giocare, non si decidono subito ai calci di rigore.

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